Più tardi, negli anni dell'Università, assieme ad un amico ex compagno di Liceo, avevo acquistato uno strumento più adeguato, realizzato da un costruttore locale; ma taluni difetti dello strumento e le vicende della vita mi avevano ancora una volta allontanato dall'intraprendere una qualsiasi attività continuativa di osservazione.
In seguito, sul finire degli anni '70, mi avevano colpito alcuni articoli letti su "Sky and Telescope" che parlavano dei primi sistemi di puntamento e di guida computerizzata di strumenti realizzati negli U.S.A. da astrofili; in particolare mi aveva impressionato uno di Dave Skillman, ingegnere ed astrofilo americano, che descriveva il sistema da lui realizzato il quale, oltre a eseguire operazioni di puntamento e di ricerca di oggetti con notevole precisione, consentiva lo svolgimento automatico di un programma di ricerca, nella fattispecie riguardante lo studio di stelle variabili mediante l'applicazione di un fotorivelatore al fuoco del telescopio. Sebbene in maniera ancora indefinita, sentivo che questa sarebbe stata la strada che avrei voluto percorrere; purtroppo la mia inadeguatezza tecnica e le risorse finanziarie che sarebbero state necessarie mi scoraggiarono subito.
Finalmente, all'inizio del 1993, mia moglie mi convinse a recuperare il telescopio acquistato nel lontano 1979 e rimasto negli ultimi 10 anni in possesso del mio amico e pressoché inutilizzato. Si trattava di un riflettore newtoniano di 200 mm con focale di 1m, che aveva una montatura pesante piuttosto che robusta dotata di moto in ascensione retta con possibilità di correzione della velocità mediante una pulsantiera. Ne corressi i più grossolani difetti: graduai i cerchi e realizzai un indicatore per poter utilizzare quello di ascensione retta che era del tutto inutile per un difetto della realizzazione originaria, lo equipaggiai con un MTO 1100 per la guida, e sostituii il focheggiatore con uno più preciso, realizzato utilizzando la montatura di un obiettivo fotografico russo acquistato a poco prezzo. Man mano che il processo di ristrutturazione andava avanti, utilizzavo lo strumento per osservare alcuni degli oggetti celesti più accessibili e facili che non avevo avuto l'opportunità di vedere da ragazzo.
Occorre chiarire che il sito osservativo non è dei migliori. Infatti dal terrazzo della mia abitazione, che utilizzo a tale scopo e che, per fortuna, è rivolto verso Sud, solo raramente è possibile disporre di un seeing favorevole, essendo situato a 35m s.l.m., ed in prossimità del Padule di Fucecchio, luogo affascinante ma, purtroppo, umido con frequenti condizioni di foschia e di nebbia. Perdipiù la situazione di inquinamento luminoso è piuttosto grave: infatti l'abitazione è situata su un'arteria di traffico munita di illuminazione pubblica ed inoltre il terrazzo è investito dalle insegne di un bar a circa 50m, e dalle luci di un campo sportivo distante circa 200m, che sono spesso accese per consentire lo svolgimento di attività agonistiche in notturna (figura 1).
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FIGURA 1. Panoramica notturna dal terrazzo su cui viene messo in postazione il telescopio con tutta la relativa strumentazione. Si possono notare le insegne di un bar ed i riflettori di un campo sportivo nelle vicinanze. Alcune delle immagini mostrate in seguito sono state riprese in queste condizioni di illuminazione notturna! |
Era la prima metà del 1993 e convinsi un astrofilo pistoiese assai esperto, Piero Lavoratti, che avevo conosciuto tramite l'Associazione Astrofili della Valdinievole (AAV), ed i cui suggerimenti ed aiuto mi erano stati preziosi, ad utilizzare la telecamera CCD ST-4, che possedeva ed utilizzava esclusivamente per la guida automatica, al fine di ottenere direttamente immagini digitali di oggetti celesti. Il suo strumento autocostruito, un 250 mm f/5, montato su carrello-rimorchio, accuratamente modificato, per renderlo facilmente trasportabile, era un capolavoro di ingegneria; era possibile metterlo in postazione con estrema precisione, nel giro di pochi minuti, mediante l'impiego di un cannocchialino polare, ricavato allo scopo da un vecchio binocolo, e di una base di stazionamento completamente regolabile (figura 2).
FIGURA 2. Piero Lavoratti con il suo strumento, uno Schmidt-Newton 250 mm f/5 con montatura a culla. |
Nella stessa estate del 1993 decisi di portare avanti il progetto a cui stavo da tempo pensando ed acquistai uno Schmidt-Cassegrain (SCT=Schmidt-Cassegrain-Telescope) da 250 mm su montatura equatoriale alla tedesca e precisamente un MEADE SSC-10 f/6.3 con sistema di guida computerizzato CDS #1697 (la versione per montatura alla tedesca della più famosa LX200 destinata alle montature a forcella, più comuni per questo tipo di telescopi).
Mi arrivò verso la fine del mese di settembre e fu subito chiaro l'abisso che separava tale strumento dai limiti, a cui mi ero oramai assuefatto, dell'altro. La ricerca degli oggetti era divenuta una semplice questione di digitazione sulla pulsantiera (un vero e proprio telecomando) del CDS rispetto alla fatica della lettura notturna dei cerchi graduati ed alle operazioni di puntamento mediante il loro utilizzo. Beninteso, tale operazione è altamente istruttiva e non può essere saltata nella formazione dell'astrofilo: l'utilità del CDS è come quella della calcolatrice scientifica, fa risparmiare una grande quantità di tempo ma guai a non avere alcuna conoscenza sui concetti che stanno alla base dei calcoli che vengono eseguiti!
Contemporaneamente avevo provveduto ad acquistare, sul mercato americano, EPOCH 2000, un programma integrato in ambiente Windows che includeva un planetario con accesso al GSC della NASA, la possibilità di puntamento del telescopio su qualunque oggetto o posizione presente nel planetario mediante un semplice clic del mouse, un buon pacchetto di elaborazione di immagini astronomiche e, nel caso che avessi posseduto un ST-6 della SBIG, un programma di controllo della telecamera CCD.
Nel frattempo avevo sostituito il mio personal computer IBM-AT compatibile, ormai obsoleto, con un 486 con 8MB di RAM, CD-ROM e doppio hard disk per una capacità complessiva di circa 700MB. Potei così sperimentare le possibilità di controllo remoto del telescopio e di acquisizione di immagini CCD. In realtà molti ostacoli si frapponevano ancora alla possibilità di operare appieno da una postazione remota: in primo luogo, poichè dal mio terrazzo non vedo la Polare, ero costretto, ogni qualvolta decidevo di trascorrere una serata di osservazione, ad allineare l'asse di ascensione retta (polare) con una procedura lunga e noiosa che portava via una parte consistente del tempo disponibile; inoltre la procedura di focheggiamento che era manuale ed approssimativa e veniva fatta all'inizio della seduta di osservazione non garantiva il migliore assetto durante tutta la notte a causa della instabilità meccanica dello specchio primario dovuto al sistema di focheggiamento adottato negli SCT commerciali e doveva essere ripetuta più volte; infine i limiti della telecamera a 8 bit con la sua bassa dinamica e la limitata superficie (un quadratino di 2.64 mm di lato) con il conseguente misero campo angolare inquadrato, inferiore ai 6' per la focale di 1600 mm, erano ancora più evidenti rispetto alle potenzialità del telescopio.
Fin dall'inizio del 1994 iniziai un processo di analisi di ciò che il mercato offriva. Assieme a Piero Lavoratti, ottimo consigliere e valente e generoso artigiano nell'attuazione delle modifiche che di volta in volta si rendevano necessarie, decisi cosa acquisire al fine di rendere operative le esigenze di automazione delle funzionalità del telescopio e di ripresa con tecnica elettronica di immagini di cielo profondo. Nell'estate del 1994 avevo, sia pur con qualche titubanza, dato il costo complessivo, individuato i dispositivi e gli accessori che mi occorrevano:
- per la telecamera CCD, la scelta cadde sulla Hi-SIS 22 della francese LE2IM. Progettata da un'équipe di cui faceva parte anche Christian Buil, uno dei precursori nell'introduzione della tecnica CCD in astronomia, non solo a livello amatoriale, autore del testo più completo sull'argomento che avevo letto ed apprezzato nella sua versione in inglese e coautore dell'ottimo "Buil-Thouvenot Atlas", raccolta di immagini CCD ed atlante morfologico di oggetti di cielo profondo che avevo avuto modo di valutare nell'ambito dell'AAV. La telecamera utilizzava un KAF-400 della KODAK, come elemento sensibile, la cui superficie complessiva è di 6.9x4.6 mm, costituito da una matrice bidimensionale di 768 per 512 pixel, ognuno dei quali è un quadratino di 9 micron di lato, con basso rumore di buio e con conversione analogico-digitale a 14 bit; purtroppo era sprovvista di otturatore ma ciò rappresentava un problema minore per la ripresa di oggetti di cielo profondo ed era in qualche modo ovviata da accorgimenti nella progettazione elettronica e nel software di gestione che la accompagnava ("Qmips" e "Winmips"). Decisi inoltre di acquistare pure "MIPS", un pacchetto SW sviluppato dalla medesima équipe che aveva progettato la telecamera e che presentava caratteristiche di livello professionale. La fiducia nei progettisti e nella loro lunga esperienza nel settore e le versioni "demo" che mi ero fatto inviare mi avevano convinto a vincere una certa titubanza derivata dal fatto che sarei stato uno dei primi, probabilmente il primo in Italia, a utilizzare questo tipo di telecamera introdotta solo di recente sul mercato.
- Per quanto riguarda il sistema di focheggiamento optai per il sistema motorizzato NGF-S dell'americana JMI, sia per la stabilità dovuta alla progettazione adottata (montatura su cuscinetti) che per la dichiarata robustezza atta a sopportare il carico non indifferente dato dalla telecamera e dagli eventuali accessori. Notai in seguito che tale focheggiatore presenta un problema per l'uso con i CCD: è permeabile alla luce per cui le immagini di calibrazione ne risultano affette e quindi i risultati che si ottengono non sono adeguati alle potenzialità. è stato però possibile, con un semplice accorgimento, limitare drasticamente tale difetto.
FIGURA 3. La telecamera Hi-SIS 22 al fuoco diretto del MEADE SSC 10" dell'autore. Sono visibili il focheggiatore NGF-S ed il riduttore di focale Celestron nella posizione b. descritta nell'articolo. |
FIGURA 4. Particolare del pavimento e di un piede della colonna. La vite è già adagiata in uno dei fori di riferimento per la postazione. Una volta messo "in bolla" il telescopio risulta allineato. |
FIGURA 5. Il telescopio messo in postazione. Si può notare la telecamera Hi-SIS 22, posta in questa occasione "in parallelo" con un teleobiettivo da 135 mm, mediante un supporto autocostruito, sull'asse di declinazione, in posizione di contrappeso allo strumento principale. Sono pure ben visibili i vari cavi di alimentazione e di collegamento |
Appena fa buio e si rendono visibili le stelle più brillanti, inquadro una delle più prossime al meridiano e la utilizzo per sincronizzare il sistema di guida computerizzato. Questa operazione è la sola che deve essere compiuta all'esterno con l'impiego del cercatore del telescopio. Dopo di ché rientro nella stanzetta dove ho allestito il "centro di controllo" ed in genere sulla medesima stella, che a questo punto risulta ben visibile al centro del campo inquadrato dal CCD, viene eseguita la messa a fuoco. Per quest'ultima operazione utilizzo una tecnica che, alla prova, si è dimostrata la più affidabile e rapida e che fa uso della diffrazione della luce proveniente da una sorgente puntiforme (una stella) da parte delle flange di una crociera come quella che sostiene lo specchietto piano secondario nei telescopi newtoniani. Come è noto un tale sostegno manca del tutto negli SCT e quindi ho dovuto costruirne uno utilizzando delle asticelle di legno sottile. La crociera viene posta di fronte alla lastra correttrice e la focalizzazione consiste nel controllare, partendo da una posizione prossima al fuoco, quando le linee di diffrazione della luce proveniente da una stella di seconda o terza magnitudine, che risultano sdoppiate se non perfettamente a fuoco, sono perfettamente coincidenti. Questa operazione deve essere ripetuta ogni volta che il telescopio viene puntato in una direzione distante da quella iniziale o comunque ogni volta che si apprezza una diffusione della luce delle stelle che compaiono nel campo del CCD.
A questo punto ha inizio la fase di osservazione vera e propria e che risulta più o meno proficua a seconda dello scrupolo con cui la si è preparata. Per quanto riguarda le condizioni di assetto, un buon allineamento polare ed una equilibratura rigorosa della strumentazione su entrambi gli assi del telescopio incide decisamente sulla qualità delle immagini che si ottengono, particolarmente nel caso che siano riprese senza guida. Meglio spendere inizialmente più tempo per ottenere un buon assetto, vincendo la tentazione, sempre presente, ad iniziare subito la fase di osservazione, che gettare via le immagini che si ottengono perché di pessima qualità; in ogni caso, il tempo speso nella fase di allestimento viene recuperato ampiamente nel seguito, senza contare il fatto che se si ottengono risultati buoni siamo portati a prolungare, a volte fino all'alba, la seduta di osservazione. Il programma di lavoro è meglio che non sia improvvisato ma preparato in precedenza con una scaletta, che, beninteso, può essere adeguata e precisata nel corso della seduta, che elenchi gli oggetti da riprendere con una previsione dei tempi della seduta privilegiando quelli di interesse che si trovano, di volta in volta, in prossimità del meridiano e quindi nella posizione migliore per la ripresa; nel caso di programmi di ricerca particolari come nel caso di supernove, di asteroidi, di comete oppure di osservazione di stelle variabili i criteri di messa a punto del programma saranno evidentemente diversi. Un buon piano di lavoro, come in altri campi, aumenta la produttività di un fattore non trascurabile. Attenzione però a non renderlo troppo intenso e rigido: in certi casi un ritardo e l'ansia della rincorsa possono essere poco producenti e frustranti. Per quanto mi riguarda, il mio è solo un piano di massima che, quando ho il tempo necessario di curarlo, per esempio dopo un periodo di lungo "digiuno", prevede, oltre agli oggetti principali e irrinunciabili, organizzati in una sequenza che minimizzi le separazioni angolari tra l'uno e il successivo, anche oggetti di secondaria importanza, che vengono in prima istanza ripresi solo nel caso di una seduta favorevole e proficua dal punto di vista dei tempi previsti e qualora non si presentino problemi legati all'assetto o alle condizioni di visibilità. Quelli tralasciati potranno essere oggetto di osservazione in una successiva nottata.
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b) Una porzione dello stesso campo ottenuta dall'autore.
La figura è il risultato della preelaborazione di un'immagine ripresa il 26 settembre 1995, con l'impiego del riduttore di focale, in una serata con seeing mediocre. |
Il processo di ripresa di un'immagine di cielo profondo al fuoco diretto del telescopio (figura 7) avviene nel modo qui descritto, per mezzo di programmi, sviluppati ad hoc in ambiente "MIPS 2.0", che rendono semi-automatiche le diverse fasi:
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b) ... nella stanza dei bottoni; all'esterno si può vedere lo strumento già pronto nella sua postazione abituale. |
- in seguito vengono riprese 8-10 immagini con pose, generalmente, di 30", con binning 2x2, e quindi in formato 384x256 pixels. Queste immagini vengono visualizzate, man mano che procede l'acquisizione, per l'ispezione in tempo reale, da parte dell'osservatore il quale, però, per tutta la durata di questa fase (circa 6'), è libero di potersi dedicare ad altre attività;
- al termine dell'acquisizione di una sequenza si passa all'oggetto
successivo cercando di ottimizzarne l'inquadratura, sulla base dell'orientamento
attuale del CCD, mediante l'inspezione del campo comprendente l'oggetto
operato con MEGASTAR.
- si scartano le immagini di qualità inferiore di ogni sequenza;
- le restanti vengono calibrate, una per una, con le immagini di offset, di buio e di flat-field;
- vengono inoltre bilanciate con il comando "deconvflat" di MIPS, il quale viene inibito solo nel caso, poco frequente, che si sia utilizzata l'otturazione manuale durante la lettura di ogni immagine della sequenza, al termine del periodo di integrazione (ovvero della posa) del CCD che è preceduto da un beep;
- infine le immagini, relative ad una sequenza di ripresa, vengono registrate (ovvero allineate) e sommate con tecnica mediana. Ciò consente di ridurre le fluttuazioni casuali, che vengono comprese sotto la dicitura omnicomprensiva di "rumore", eliminando i picchi estremi in corrispondenza di ogni pixel dell'immagine;
- al termine, eventuali disomogeneità nell'illuminazione di fondo dell'immagine ottenuta ai passi precedenti, dovute alla presenza di luci artificiali oppure della Luna, vengono eliminate con la stessa tecnica utilizzata per la calibrazione dell'immagine mediante flat field, dopo aver sintetizzato una mappa dello sfondo per mezzo del prelievo di pixel-campione dall'immagine ottenuta al termine dei passi precedenti.
Le fasi sopra elencate possono essere definite di preelaborazione e tutte le immagini vi vengono sottoposte. Alcune possono poi essere elaborate con procedure specifiche, ad esempio allo scopo di:
- ricomporre un campo più ampio, di cui ciascuna rappresenta solo una porzione (mosaic);
- rendere più evidenti particolari presenti ma poco visibili nelle immagini preelaborate con tecniche di filtraggio, di deconvoluzione oppure, più semplicemente, di modifica della scala dei livelli di grigio (stretching, trasformazioni logaritmiche, equalizzazione dell'istogramma, e cosi' via);
- mutarne il formato da quello canonico .PIC, che utilizza 16 bit, di cui solo 14 significativi, per ogni pixel, corrispondenti a 16364 livelli, in un'immagine .BMP oppure .TIF a 8 bit per pixel, per renderla più facilmente leggibile e quindi fruibile per mezzo di programmi di uso comune.
- molte altre tecniche di elaborazione sono disponibili per applicazioni particolari, come il blinking con immagini di riferimento, riprese in precedenza, per la ricerca di nove, supernove, asteroidi e comete; oppure la riduzione astrometrica dei dati relativi ad un'immagine per lo studio o la ricerca di stelle variabili o lo studio del moto di corpi del sistema solare e molte altre ancora.
Mediante l'applicazione delle procedure descritte ho costituito un data-base
di immagini in cui sono rappresentati oltre un migliaio di oggetti. Tale
catalogo viene costantemente arricchito e aggiornato, man mano che le tecniche
di ripresa si affinano ed i risultati migliorano.
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FIGURA 14. M33 (NGC 598) ottenuta dal mosaico di 4 immagini ognuna delle quali è stata preelaborata separatamente. Come si può apprezzare risulta difficile individuare le "cuciture" del mosaico. |
M33 (figura 14) è il mosaico di 4 immagini, ottenute ciascuna secondo la tecnica usuale, e ricomposte a mosaico in modo da mostrare, nella sua interezza, la parte centrale della galassia.
M101 (figura 15) è il risultato del mosaico di 2 immagini. In entrambi i casi si può apprezzare che la tecnica, se correttamente applicata, dà buoni risultati e le diverse porzioni non sono facilmente distinguibili nel quadro finale.
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FIGURA 15. M101 (NGC 5457) come risulta dal mosaico di due immagini. | FIGURA 16. Tutte le immagini di questa
serie sono il risultato delle operazioni di preelaborazione e vengono visualizzate
dopo trasformazione logaritmica dei livelli di grigio.
a) ARP 94 è costituito dalla coppia di galassie interagenti NGC 3226 e NGC 3627. b) NGC 520 (ARP 157) ricorda la forma di un gancio. c) NGC 523 (ARP 158) presenta tre insolite condensazioni nucleari. d) NGC 4038 e NGC 4039, coppia di galassie interagenti, dette comunemente "Galassia Antenna", nella costellazione del Corvo. |
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FIGURA 17a. In alto M57 (NGC 6720) come appare al fuoco diretto del telescopio con binning 2x2, in basso a sinistra ripresa senza binning utilizzando la parte centrale del chip del CCD ed infine, in basso a destra, la medesima immagine dopo la deconvoluzione con il metodo di minima entropia (15 iterazioni). | FIGURA 17b. Nel campo inquadrato è visibile anche la debole galassia IC 1296, di quindicesima magnitudine. Si può osservare che, nell'operare la ripresa, si è dimenticato di togliere il crocicchio utilizzato per la messa a fuoco che genera la diffrazione visibile in corrispondenza delle stelle più luminose. | FIGURA 18. La nebulosa planetaria NGC 40 come appare al fuoco diretto (in alto) ed a seguito di un'operazione di zoom con fattore 3. | FIGURA 19. M1 (NGC 1952), la Nebulosa del Granchio, rappresentata, dopo operazione di deconvoluzione a minima entropia, con scala dei grigi lineare. |
NGC 40 (figura 18) viene mostrata sia come appare nel campo di ripresa canonico che dopo un'operazione di zoom con interpolazione quadratica mediante splines. Come si può notare, in questo caso, risultano meglio visibili i dettagli dell'oggetto.
FIGURA 20. Gli ammassi globulari:
a) M13 (NGC 6205); b) M3 (NGC 5272). |
Infine gli ammassi globulari: M13 e M3 (figura 20) sono il risultato
rispettivamente di una e di 3 pose di 30", preelaborate e visualizzate
con espansione logaritmica dei livelli di grigio: si possono in tal modo
apprezzare sia le stelle dell'alone periferico che quelle della porzione
centrale che non risulta saturata.
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